La crisi in vista del Mise
MANTOVA I sindacati sono in fermento per portare i dipendenti a Roma con due pullman, allo scopo di presidiare il ministero dello sviluppo, mentre, alla presenza del ministro Giancarlo Giorgetti, si dovranno prendere decisioni sul futuro della Corneliani. Una partita difficile, dal momento che le previsioni di addetti ai lavori e figure istituzionali coinvolte non dànno per scontato il vento che a luglio era parso favorevole. (continua a pagina 9)
Cda fra due fuochi: liquidazione o commissario?
Come affrontare Giorgetti, chiedere 10 milioni, senza piano industriale e senza investitore
MANTOVA I sindacati sono in pieno fermento per portare i dipendenti a Roma con due pullman, allo scopo di presidiare il ministero dello sviluppo, mentre, alla presenza del ministro Giancarlo Giorgetti, si dovranno prendere decisioni importanti SUI futuro della Corneliani. Una partita difficile e insidiosa, dal momento che le previsioni degli addetti ai lavori e delle stesse figure, istituzionali coinvolte non danno per scontato il vento che a luglio, al primo tavolo del Mise, era parso favorevole at proseguimento dell`attività e a segnare una svolta nella situazione difficile in cui versa l`azienda. Non solo, insomma, non è certo che il ministero mantenga la disponibilità a entrare in società con 10 milioni di dote, ma nemmeno ci sono solide speranze di strappare le condizioni per avviare un processo di amministrazione controllata della maison. Perplessità sono state manifestate a mezza voce da più parlamentari, che domani potrebbero intervenire (restrizioni covid permettendo) quantomeno in veste di auditori. I fattori di inibizione all`ottimismo spinto del resto sono parecchi. In primo luogo, la stessa azienda ha mancato di dare corso a un piano industriale come stabilito negli accordi di luglio. Secondariamente, è sfumata la più concreta prospettiva di investimento, quella della BasicNet. E di fronte a questi fattori, diventa difficile anche l'orientamento dello stesso Cda di via Panizza, che alcune voci dànno per convocato anche nella giornata odierna, in vista appunto del tavolo romano. Proprio da quel Cda, del resto, come lamentato dalle parti sociali, ben poco trapela, né mancano i timori che la proprietà possa anche optare per la liquidazione dell'azienda, le CUI attuali prospettive di mercato sembrerebbero piuttosto fragili. Le stesse commesse in corso non coprirebbero il fabbisogno al mantenimento nemmeno della metà del personale. E i soldi in cassa derivati dall'ultima capitalizzazione sarebbero ormai in vi a di esaurimento. Tanta precarietà che contrasta solo con la voglia della città di non disperdere un gran capitale professionale e umano.
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Rimane l'incognita della retromarcia di Boglione
Prima entusiasta della "foresta incantata", poi riduce la propria offerta a soli 4 milioni
Il punto dolente, sul quale si interrogano tutti gli osservatori, è rappresentato dalla mancata partecipazione (o acquisizione) di Marco Boglione, titolare del colosso BasicNet alle sorti della Comeliani. Quella che lui stesso aveva definito "foresta incantata" già alle prime visite in azienda, alla fine è svaporata in un nonnulla, a giudicare dall'offerta fatta a seguito della "due diligence". Appena 4 milioni, ha riferito l'a.d. Giorgio Brandazza alle dipendenti che lo hanno interpellato all'uscita da un consiglio d'amministrazione. Praticamente, solo quanto si offre per strappare il marchio e la parte commerciale della maison. Perché questa retromarcia? Qui le ipotesi si affastellano, ma il minimo comun denominatore è dato da considerazioni pessimistiche. Boglione infatti è noto per essere un abile commerciale con 900 milioni di fatturato, ma non un industriale, della cui merce detiene solo i marchi e la distribuzione sul mercato; marchi peraltro acquisiti tutti in condizioni fallimentari (da Robe di Kappa a Sebago a K-Way a Superga). Lo spettro di un ricorso alla stessa strategia anche per Corneliani sgomenta tutti. E del resto, ad alimentare questo dubbio, concorre anche un altro fattore, niente affatto secondario. Il fatto cioè che il fondo proprietario della maggioranza dell'azienda dovrebbe versare a giugno i 17 milioni di euro rimanenti per detenere quella maggioranza. Una condizione, questa, che verrebbe meno se, in luogo di affrontare un'amministrazione controllata, la società andasse in liquidazione.